11/03/11

L'autoritratto come tentativo

"Senza la fede nell'idea che il nostro volto esprima il nostro io, senza questa illusione fondamentale, originaria, non potremmo vivere o almeno prendere la vita seriamente. E non basta soltanto identificarci con noi stessi, è necessario identificarci appassionatamente, per la vita e per la morte. Immagina di vivere in un mondo dove non ci sono specchi. Il tuo viso lo sogneresti elo immagineresti come un riflesso eterno di quello che hai dentro di te. E poi, a quarant'anni, qualcuno per la prima volta in vita tua ti presenta uno specchio. Immagine lo sgomento! Vedresti un viso del tutto estraneo. E sapresti con chiarezza quello che ora non riesci a comprendere: tu non sei il tuo viso. .. a forza di osservarmi allo specchio, ho finito per credere che quello che vedevo ero io. Ho un ricordo assai vago di quel periodo, ma so che scoprire l'io deve essere stato inebriante. Poi però arriva il momento in cui stai davanti allo specchio e dici: sono io, questo? E perché? Perché ho sodalizzato con questo qui? Che mi importa di questa faccia? E tutto allora comincia a crollare. tutto comincia a crollare." (M. Kundera, L'Immortalità).
Ma qual'è l'immagine restituita dallo specchio all'artista moderno? E' comunque sfuggente e dovrà essere fissata, bloccata, resa immobile e oggettiva perchè si configuri come documento psicologico relativo alla sua reale natura e interiorità. La difficoltà per l'artista consiste proprio nel fatto che il suo volto riflesso nello specchio è inadeguato a rappresentare il suo stato d'animo e quindi egli dovrà necessariamente trovare un equivalente formale di ciò che sente di essere: dovrà inserire nei contorni oggettivi del volto il dolore, l'angoscia e la sofferenza di un  determinato momento.
all'inizio di questo percorsoil nostro sguardo si posa dunque semplicemente su "un uomo", poi si soffermerà su  "un pittore", infine su "un individuo" che ha smarrito la propria identità, che è Altro, e il cui volto è, letteralmente, lo specchio dell'anima.


Vincent van Gogh, con i suoi numerosi autoritratti, è uno dei più autorevoli testimoni di questa ricerca disperata, e atratti ossessiva. In questa disperata coscienza del proprio dramma esistenziale la scelta dell'autoritratto, in tutta la su a tragicità, rappresenta la prova estrema di esorcizzazione del dolore ma anche un "tributo" al profondo narcisismo celato dietro di essa. Tale esperienza pittorica, in quanto rifugio e rimedio alla sofferenza, verrà profondamente condivisa dal pittore norvegese Edvard Munch. Anche Munch , quindi, utilizza la pittura per non lasciarsi schiacciare dal peso dell'esistenza precocemente influenzata dagli spettri della follia, della malattia e della morte. Da qui nesce, penso, il grande bisogno di produrre autoritratti, pittorici e fotografici, come per verificare la propria esistenza, e la collocazione della morte.


Ma "il volto umano/non ha trovato ancora la sua faccia" scrive A. Boatto. Dipingere il proprio volto come specchio dell'angoscia dell'anima e al contempo abbandonarsi ad una sorta di "narcisistico" compiacimento della propria stra-ordinarietà, lontana dalla mediocrità dell'uomo comune, avvicina Van Gogh a Munch, ma anche ad Artaud, come si legge in Lettere dal delirio: " La sorte di tutti gli illuminati di questo mondo è quella di essere scambiati per pazzi quando i sortilegi e la polizia ci si mettono di mezzo e una volta rinchiusi non hanno più la possibilità di esporre le loro idee sotto la minaccia di essere trattati da folli e curati come tali con tutta la barbarie scientifica".


Il volto delineato dia tratti di una matita nera è sospeso nel vuoto del foglio bianco, gli occhi sono quelli di un uomo che ha il coraggio e la forza di guardarsi in faccia il nulla ben consapevole che il suo stato di alienazione "è strutturale alla vita stessa, poichè ogni uomo è sé e altro al medesimo tempo, perché la sua solitudine e la sua angoscia per la propria finitezza sono la solitudine e l'angoscia di ogni altro, pur rimanendo assolutamente diverse e irriducibili" (G. Cortenova, La creazione ansiosa).
Artaud scrive Van Gogh. Il suicidato della società : "L'occhio di Van Gogh è quello di un grande genio .. prima di lui solo il povero Nietzsche ebbe questo sguardo che spoglia l'anima, che libera il corpo dall'anima, che mette a nudo il corpo dell'uomo, fuori dai sotterfugi dello spirito ... ma van Gogh ha colto il momento in cui la pupilla sta per precipitare nel vuoto, in cui lo sguardo, scaglato contro di noi come la bomba di una meteora, assume il calore atono del vuoto e dell'inerzia che lo riempie".
appare evidente la comunità di intenti degli artisti citati, nonchè l'impegno condiviso nella ricerca di sollievo al dramma esistenziale attraverso la forza dell'arte, quasi una forma di salvezza e di sopravvivenza in un mondo ostile e crudele; ma, non ultimo, emerge anche un profondo senso del proprio genio per cui l'artista, in un percorso di autorispecchiamento narcisistico, guardandosi, rappresentandosi, tiene testa alla morte.
(vedi anche Art e Dossier 275)

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