La S.V. è invitata domenica 15 Maggio dalle 10.00 alle 18.00 al Bosco dei Poeti Km 318 della S.S. del Brennero a Dolcè (Vr)
genesi di un progetto
Quegli, alzando gli occhi, disse:
«Vedo gli uomini, poiché vedo come degli alberi che
camminano».
(Marco 8,24)
Il progetto propone la realizzazione di una performance interattiva che dialoga con
l'introspezione psicologica
e la sacralità dell'albero.
Psyche, oltre che anima, era il nome che nel rinascimento veniva dato allo specchio posto nella stanza privata.
Gohei sono delle decorazioni cartacee che in Giappone vengono messe ad omaggiare gli alberi-kami, alberi centenari e quindi sacri.
Gohei sono delle decorazioni cartacee che in Giappone vengono messe ad omaggiare gli alberi-kami, alberi centenari e quindi sacri.
Vorrei proporre un'unione e una riflessione su queste due tematiche a me molto care...
L'opera da realizzare, questa corda-circonferenza da installare al tronco dell'albero prescelto, è
composta ad intervalli ritmati,
da piccoli autoritratti (eseguiti allo specchio), specchi-psyche (che riflettono la
luce e i volti dei partecipanti alla performance) e gohei contenenti messaggi dedicati.
Sono partita umilmente dal principio, da quello che ho: me stessa. La mia immagine mi appartiene solo allo specchio, "sono me stessa solo allo specchio". Per
questo dipingere autoritratti, è un bisogno, una necessità, una preghiera. E’ prendersi del tempo per ascoltarsi, per
tentare di capirsi, conoscersi, accettarsi. Partire da se stessi come principio di ogni cosa, per ogni cosa. Non c’è altra scelta se si decide di vivere. Guardarsi senza filtri o pretese o idee
preconcette; porsi di fronte allo specchio come tramite fisico di quello che
siamo dentro: la pittura è la mia porta d'accesso. Cercare di fermare un’essenza, in un preciso momento, in
una pulsione. Sic et nunc. Vedersi. Semplicemente.
Vorrei che ognuno si
guardasse dentro, nello specchio di “Psyche-Gohei” con questa responsabilità.
Vorrei che ognuno
partecipasse a questo rituale con questo desiderio: vivere e condividere il momento presente.
Vorrei omaggiare
l’albero, perché in lui vibra sempre la frequenza dell’atto creativo, perché è fuori
dal nostro tempo, domina lo spazio, è parte del tutto…
Durante la realizzazione di "Psyche 22042016.17/19", olio su tessuto, 25x25 cm |
Il titolo di questa serie
di opere è Psyche, seguito dalla data e dall’ora del momento fissato sulla tela. E’
la registrazione di quell’atto, di quel preciso frammento temporale. Un momento unico, non
ripetibile, consumato in presenza di se stessi, come una sorta di esercizio spirituale.
"Psyche 23042016.17/18", olio su tessuto, 25x25 cm |
PSYCHE -GOHEI
dentro è oltre
BOSCO DEI POETI 15 MAGGIO 2016
L'albero racconta
La sua cima verso il cielo. Osservava gli altri alberi dalla chioma fitta di foglie, dalla corteccia tenera e dai tronchi slanciati. Tutti scintillanti di colori. Li vedeva riflessi attraverso lo specchio d’acqua e si sentiva depresso. I suoi rami e le sue foglie erano piccoli e il suo tronco era tozzo e la sua corteccia sbiadita e rugosa si sarebbe detta la pelle di un vecchio elefante. Allora il Baobab invocò Dio e gli fece le sue dimostarnze, ma il creatore era completamente soddisfatto della sua opera. Il baobab era diverso da tutti gli altri alberi e Dio amava la diversità, amava l’ippopotamo armonioso ai suoi occhi, amava il grido della iena gradevole alle sue orecchie e allo stesso modo amava il baobab dissimile da tutti. Ma poiché il baobab non smetteva di guardare il suo riflesso nell’acqua e continuava a lamentarsi, Dio preso da collera discese sulla terra, lo sradicò, lo sollevo e lo ripiantò al contrario. Allora l’albero non vedendosi più smise di lamentarsi. Tutto era rientrato nell’ordine delle cose. La storia degli alberi è legata all’origine del mondo. L’origine degli uomini è legata alla storia degli alberi. Per molti popoli della foresta l’albero è un nostro antenato. E come non crederlo quando gli occhi dei bambini si posano su una foresta di alberi giganti senza mutare espressione. Sequoie, alberi dalla corteccia rossa e dal nome di un capo indiano, alberi giganti la cui potenza genera il mistero. 32 metri di circonferenza, 112 metri di altezza, 1.400 metri cubi, 5.500 tonnellate e circa 3.000 anni. Non sono solo i più grandi della terra, sono alberi alieni, alberi che sembrano appartenere ad un altro mondo, ad un altro spazio, ad un altro tempo…Ogni giorno da 3 milioni di anni l’albero permette all’uomo di respirare, di mangiare, a volte di dormire, di giocare e spesso di sognare. Ma i tempi sono cambiati. Le foreste hanno lasciato il posto alle città e a poco a poco un confine ha separato e contrapposto il mondo degli uomini all’universo degli alberi. Oggi l’albero di città guarda passare la gente. Ma tutti vanno e vengono senza vederlo, senza prestargli attenzione… D'altronde chi ricorda ancora il suo nome! L’albero è là, silenzioso, immobile, è diventato ordinario, ovvio, banale come un arredo urbano. E’ veramente vivo!? Eppure quando un albero viene sradicato dal paesaggio il passante si arretsa e si dispera. Se apprenderemo prima che sia troppo tardi che l’albero in questo luogo ombreggiato è un vagolaro centenario, il nostro sguardo cambierà,non sarà più uno sconosciuto quando lo incrocieremo, ma un personaggio da salutare. Che cos’è l’albero. Esiste la definizione approssimativa del dizionario; “Dicasi albero l’oggetto che nella sua pluralità costituisce una foresta” o quella della scienza, che ne stabilisce i criteri: “l’albero soddisfa tre principi: dimensione, longevità, solidità”. Ma la regola ha troppe eccezioni: il tanabi è piccolo, il pioppo muore giovane e il baobab è soffice. Resta la definizione pragmatica; se andate a abattere con l’auto contro una pianta e l’auto si distrugge, allora è un albero. Le cose seguono una nomenclatura precisa nella botanica. Tutto ha una sua gerarchia e ogni elemento ha un suo posto nella classificazione. Se domandassimo il suo nome scientifico al faggio ceraiolo risponderebbe: " per servirvi specie selvatica, genere fagus, famiglia fagacee, ordine fagales, sottoclasse dicotiletene,classe angiosperma,divisione spermatofita, regno vegetale”. Perché tutto è concatenato dal faggio ceraiolo alle galassie e all’intero cosmo. Gli alberi sono mercanti di storie dispersi ai quattro angoli del mondo. Si dice che un cammello che penetri in un giardino di datteri, possa uscirne bardato di tutto punto, munito inoltre del bastone che gli servirà per avanzare. Circa 3.000 specie di palme inaugurano a loro modo la prima società di consumo. Panieri, tessuti, bottoni, scarpe,scatole, aghi, perle, noci di cocco, arpioni, fili, farina, corde, stuoie, amache, pettini, avorio, sapone, shampoo, alcool, zucchero, miele, datteri, coperte, tavoli, sedie, spazzole, scope, materiale da costruzione con il quale edificare un villaggio, con il quale far vivere gran parte dell’umanità. L’uomo è un essere fatto di volumi, mobile, l’albero è un essere di superficie, immobile. Le superfici di scambio di un uomo, l’apparato digerente, polmoni e reni, sono interni e concentrati. Le superfici di scambio di un albero sono esterne e gigantesche. Se si sommano tutte le superfici di un grande albero, il tronco, i rami, le ramificazioni, le foglie, le radici si ottiene una superficie media di 130 ettari. Come potrebbero spostarsi 130 ettari? La differenza fra l’albero e l’uomo è la mobilità!? L’albero sembra fisso perché vive in un tempo diverso dal nostro, ma se l’uomo vivesse più lentamente vedrebbe gli alberi camminare. La mangrovia è il simbolo della mutazione, un albero che avanza, un’albero che rifiuta il destino di tutti gli alberi del mondo, nascere vivere e morire nello stesso posto. La mangrovia è un’albero mobile, lento funambolo appollaiato a filo d’acqua, i suoi rami in balia del vento e le sue radici simili a trampoli partecipano al flusso della sua incostanza. Il suo portamento leggero aereo, la sua predilezione per l’acqua lo hanno predestinato a rifiutare la sua condizione sedentaria? La mangrovia dà movimento alla sua linfa piochè come il viaggiatore impenitente non può rimanere a lungo in un posto. Il suo tronco da una parte muore e dall’altra cresce e in questo modo si sposta. La velocità di crescita è di qualche metro l’anno, qualche metro è hai confini del mondo per un’albero. La mangrovia è un’albero viaggiatore che si sposta lungo le rive, solo lui sà dove è diretto, verso il mare? verso la morte? Poco importa la sua felicità è nel movimento. L’uomo è vivo o morto, l’albero vive e muore simultaneamente è virtualmente immortale. In un paesaggio montuoso in cima ad alte montagne si trovano gli alberi viventi più vecchi della terra: sono dei Pinus Aristata, sperduti nella valle della morte. Scheletri viventi che stanno per esalare l’ultimo respiro dopo millenni. L’albero più antico, il patriarca di tutti gli alberi del mondo è un pino di 5.000 anni. Per metà morto e per metà immortale, si chiama matusalemme. Come immaginare che questo vecchio pino di alta montagna, dal tronco irregolare e scheletrico e dalla corteccia secca e rugosa, sia ancora verde nelle sue estremità e concentri nei suoi anni tutta la memoria del mondo. Matusalemme è il cancelliere della storia da oltre 50 secoli, immagazzina gli eventi senza discernimento, incendi, inondazioni, siccità ed eruzioni vulcaniche. Il più vecchio albero del mondo sembra tormentato, torturato, segnato dal passaggio del tempo, ma sta morendo così lentamente e da così lungo tempo che può ancora vivere un’eternità. Un giorno un uccello poggia il seme di un fico tra i rami di un albero distrattamente. Paradosso dell’evoluzione l’uccello ignora completamente quello che una pianta nota per essere dotata di intelligenza gli ha appena fatto fare: troppo tardi. Il seme del fico prende vita, è l’ingranaggio di un crimine perfetto, l’albero strangolatore ha i suoi tempi, muove le radici a forma di liana e stringe lentamente il corpo della sua vittima. Le radici dello strangolatore si ispessiscono, si ramificano e si saldano tra loro fino a che non sopraggiunge la morte. Il vero volto del fico strangolatore appare alla luce del giorno, il suo enorme tronco di radici porta in croce il fantasma della sua vittima. Alcuni alberi si associano fra loro e per la difesa comune concludono delle alleanze, questo kudù ne ha appena fatta l’esperienza. L’acacia è un albero commestibile se lo si consuma con moderazione, ma poiché il kudù e la giraffa ne abusano, diventa tossico e comunica rapidamente il messaggio ai suoi simili. Emette un gas l’etilene che si propaga nella savana alla velocità del vento: massima allerta. Le acacie vicine captano il messaggio, prendono coscienza del pericolo e si trasformano immediatamente in acacie tossiche. Tutte le giraffe si trovano circondate da foglie dal gusto velenoso, allora per evitare l’intossicazione, si muovono in senso contrario al vento e attendono la fine della comunicazione. Dopo qualche giorno senza essere stata toccata l’acacia diventa di nuovo commestibile. Ecco perché da quando gli alberi comunicano tra loro i loro predatori si muovono da una pianta all’altra e passano il tempo a spostarsi.In una foresta temperata si svolge un sabba di piccoli faggi campestri, feste, danza, follia. E’ il girotondo dei faggi di Vorzie, affetti da anomalie da migliaia di anni. Una forma virale ha fatto smarrire loro il nord, le ramificazioni si dirigono verso il suolo, mentre le radici tentano di fuggire. Il faggio campestre ha una linea divaricata, sta all’albero come la follia sta all’uomo. L’albero divaricato esalta l’anarchia delle sue forme, torsioni, zig zag, distorsioni, gonfiori, saldature, rigonfiamenti, incurvature, spirali, dispersioni, sviamenti, divagazioni.
Forma della follia o
follia della forma, ogni albero è unico e il loro inventario è senza fine. L’albero
di babane è il multiplo dell’uno, disprezza la verticalità propria dei geni del
suo mondo e cresce in orizzontale. I rami centrali producono radici aeree, le
radici aeree si trasformano in pilastri e i pilastri permettono ai rami di
avanzare. Il risultato è una foresta di radici che si dipartono da un unico tronco.
L’albero di banane non nasconde la foresta, è la foresta.Ma la foresta
popolata di spiriti nasconde anche soggetti più discreti, si incontrano alberi
timidi le cui cime si avvicinano le une alle altre senza mai toccarsi,
disegnando in cielo un fragile mosaico, un labirinto di timidezza. Finchè l’albero
beve, assorbe, digerisce, respira, traspira e cresce, niente può accadergli.Ma come reagire nei
confronti di un albero timido che ha coscienza di sé e di ciò che lo circonda,
davanti ad un albero mobile, un albero che strangola, un albero che comunica,
un albero folle, un albero il cui mistero supera quello dello spazio e del
tempo?Albero cosmico,
albero della conoscenza, albero della vita, albero degli antenati o albero
protettore e guaritore sul quale si fissano così tanti segni di speranza che il
suo tronco finisce per scomparire.Gli alberi
trascendono i confini ordinari dello spazio e del tempo, forse l’uomo ricorda
ancora da quando i cipressi , i larici, i tassi o le palme vengono piantati per
vegliare sui suoi morti? Gli alberi sono i guardiani fra la porta di questo
mondo e l'aldilà, impediscono ai vivi di penetrare nel regno dei morti e ai
defunti di venire a disturbare il nostro sonno.Solo il vento, l’uomo
o il fuoco fanno morire gli alberi. La morte degli alberi ci commuove per
ragioni che sfuggono alla nostra comprensione, ci ricorda la perdita di un
mondo dove l’uomo e l’albero erano tutt’uno, dove natura e cultura designavano
la stessa cosa, un paese senza frontiere, popolato dai miti, dai riti e dalle
credenze.